Trasferimento d’azienda in crisi e Fondo di Garanzia: l’INPS anticipa (e scavalca?) il D.Lgs.14/2019
Possibile il pagamento del TFR anche senza risoluzione del rapporto di lavoro
Con messaggio n.2272 del 14 giugno 2019 l’INPS torna sui propri passi e anticipa gli effetti della nuova Riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
La questione all’attenzione dell’Istituto riguarda il pagamento del TFR ad opera del Fondo di Garanzia, nel caso in cui ci sia stato un trasferimento di un ramo di azienda in procedura concorsuale. Come noto, il trasferimento delle aziende coinvolte in procedure concorsuali gode di una applicazione attenuata dell’art.2112 c.c.; in particolare, se il ramo trasferito appartiene ad azienda in stato di crisi accertato, in amministrazione straordinaria, in concordato in continuità aperto o in accordi di ristrutturazione dei debiti omologato (art.47 c.4-bis L.428/90), l’art 2112 c.c. potrà essere applicato eccependo ai diritti normalmente spettanti ai lavoratori in caso di trasferimento d’azienda, ad eccezione della continuità del rapporto di lavoro; se il trasferimento riguarda aziende dichiarate fallite, con concordato omologato, in liquidazione coatta amministrativa o in amministrazione straordinaria (art.47 c.5 L.428/90), l’art 2112 c.c. potrà essere disapplicato tout court, eccependo anche alla continuità del rapporto di lavoro.
In ogni caso, se il trasferimento avviene in continuità del rapporto di lavoro e con liberazione dell’acquirente dalla responsabilità solidale (e salvo che l’acquirente stesso non si accolli il TFR), il dipendente perde la garanzia piena del pagamento del TFR, perché dovrà insinuarlo alla procedura – senza ovviamente garanzie di soddisfazione – ma soprattutto non potrà richiederlo al Fondo di Garanzia INPS, considerato che l’assenza di cessazione del rapporto di lavoro preclude l’intervento di quest’ultimo.
Tale indirizzo, sempre sostenuto dall’INPS (vedasi circolare n.74/2008), è stato peraltro avvalorato dalla giurisprudenza anche recente (da ultimo, Cassazione, sez. Lavoro 19 luglio 2018 n.19277 e Cassazione, sez. Lavoro 28 novembre 2018 n.30804).
Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza ha però apportato una modifica sostanziale a questa situazione, rendendo immediatamente esigibile il TFR nei confronti dell’azienda in crisi cedente nei casi di cui all’art.47 c.5, e prevedendo, di conseguenza, la possibilità per il dipendente di richiedere l’intervento del Fondo di Garanzia anche se il rapporto di lavoro non si è risolto (art.328 D.Lgs.14/2019). L’INPS, con il messaggio in commento, “anticipa” in via di prassi l’entrata in vigore di tale nuova previsione (prevista per il 15 agosto 2020) e addirittura la scavalca, ammettendo fin da ora la possibilità di chiedere l’intervento del Fondo di Garanzia per il TFR dei dipendenti ceduti in continuità del rapporto di lavoro anche nei casi di cui all’art.47 c.4-bis. Quanto precede anche nel rispetto della Direttiva 2001/23/CE.
Particolare attenzione, come sempre, va posto al caso del trasferimento d’azienda reversibile, cioè l’affitto del ramo d’azienda.
Questi in sintesi gli scenari prospettati dall’INPS in base alle nuove disposizioni:
- Affitto di ramo d’azienda con cedente e cessionario entrambi in bonis, e successivo fallimento della cedente >> il Fondo di Garanzia potrà intervenire solo alla fine dell’affitto e con conseguente retrocessione dei lavoratori al cedente fallito;
- Affitto di ramo d’azienda endofallimentare ex art. 104-bis L.F.(cedente fallito e cessionario in bonis) >> il Fondo di Garanzia potrà intervenire immediatamente per le quote di TFR maturate presso la cedente fallita (in precedenza l’INPS ammetteva l’intervento del Fondo solo al termine dell’affitto);
- Affitto di ramo d’azienda con cedente e cessionario entrambi in bonis e successivo fallimento della cessionaria (conseguente retrocessione dei lavoratori al cedente in bonis) >> il Fondo di Garanzia non potrà intervenire per la quota di TFR maturata durante l’affitto alle dipendenze dell’azienda fallita.
L’INPS invita pertanto le sedi a procedere al riesame delle domande pendenti e non accolte, salvo l’intervenuta decadenza dell’azione giudiziaria o in presenza di sentenza passata in giudicato.